Dal 2020 direttore sanitario della Struttura Complessa di Chirurgia generale dell’Ospedale di Gubbio-Gualdo Tadino, il dottor Andrea Tamburini ci ha parlato della nuova impronta che sta dando a un reparto che riveste grande importanza per il territorio umbro. Organizzazione ed efficienza ma anche dedizione, collaborazione e tanto entusiasmo sono le ricette per far fronte a un periodo complesso e delicato come quello che stiamo vivendo.
Dottor Tamburini, vuole presentarci il reparto da lei diretto?
Noi siamo la cosiddetta Chirurgia di Branca, la chirurgia di riferimento del territorio di Gubbio-Gualdo Tadino che recentemente, in seguito a situazioni di difficoltà di personale e di riorganizzazione sanitaria regionale, è diventato anche riferimento per la chirurgia d’urgenza di un territorio più ampio che comprende Assisi, Castiglione del Lago e Pantalla.
Sono arrivato qui circa due anni fa, a settembre 2020, purtroppo in un periodo non felice per la sanità italiana; quindi ho dovuto ricominciare quasi da zero.
Sicuramente siamo un gruppo che lavora, entusiasta, molto coeso. Attualmente ho un’équipe di 11 persone che sono assolutamente di alto livello. Abbiamo una chirurgia che lavora h 24, perché come ho detto abbiamo un bacino d’utenza molto ampio da soddisfare. La chirurgia è un presidio ospedaliero che non può mancare, diciamo che è ciò che dà la misura dell’efficienza e dell’efficacia del servizio sanitario in un determinato territorio. Abbiamo qui guardia chirurgica 24 ore al giorno, c’è sempre un chirurgo in guardia attiva in ospedale per garantire la gestione dell’urgenza in tutto il territorio.
E per quanto riguarda l’organizzazione?
Abbiamo istituito vari ambulatori, alcuni di chirurgia generale, alcuni di chirurgia specialistica: abbiamo per esempio l’ambulatorio di chirurgia della tiroide per il quale siamo uno dei riferimenti regionali, un ambulatorio di chirurgia vascolare e uno di recente istituzione di chirurgia oncologica, cioè di cura dei tumori. Il territorio umbro in generale, è un territorio che purtroppo ha un’incidenza di tumore colon-rettale abbastanza alta e quindi è necessario garantire il trattamento di queste patologie.
Pertanto abbiamo dedicato un percorso facilitato a questi pazienti, in collaborazione con le altre specializzazioni che sono prevalentemente l’endoscopia e la radiologia: riusciamo a garantire un percorso nell’arco di un tempo ragionevole. Stanti le difficoltà delle liste d’attesa endoscopiche e radiologiche, se il paziente viene lasciato solo in questi percorsi rischia di perdersi in appuntamenti che a volte sono inaccettabili per questo tipo di patologie e per questo, se il paziente arriva con un sospetto clinico, noi prescriviamo direttamente gli esami che deve fare e glieli prenotiamo; una volta concluso l’iter diagnostico, discutiamo dei casi in collaborazione coi colleghi dell’oncologia, della radiologia, dell’endoscopia, della terapia in riunioni multidisciplinari che noi chiamiamo con l’abbreviativo GOM, Gruppo Oncologico Multisciplinare, e da lì il paziente prende la sua via terapeutica, che può essere la chirurgia, la chemioterapia, o semplicemente il follow up, cioè i controlli post-operatori.
Riallacciandomi a quanto ci ha appena raccontato, nel momento del suo insediamento mise in evidenza la sua intenzione di potenziare le relazioni interdisciplinari per dare una risposta più completa ai pazienti. Quindi questo suo proposito ha avuto seguito e da quanto dice sta procedendo molto bene.
Nella medicina moderna non si può prescindere da questo. Non è più l’epoca dei grandi chirurghi, dei grandi internisti o dei grandi gastroenterologi; si lavora in maniera multidisciplinare, sempre su ogni patologia, su ogni paziente, perché l’evoluzione delle tecnologie e dei progressi scientifici porta sempre a quasi personalizzare i trattamenti.
Le linee guida di qualche decennio fa, e anche di quando ho iniziato, erano molto più semplici, molto più lineari. C’erano poche opzioni. Oggigiorno, se guardiamo le linee guida di un qualsiasi tipo di patologia, per esempio il tumore del colon retto o dello stomaco, vediamo che ci sono molte sottocategorie di pazienti che si giovano di trattamenti diversi. Il trattamento viene frammentato in situazioni che danno il miglior risultato possibile a quel paziente, a quella categoria di pazienti per cui non si parla più di chemioterapia per il tumore dello stomaco o del retto, ma di terapie multidisciplinari che danno i maggiori risultati in termini di sopravvivenza, ma anche di qualità della vita e di decorso della malattia stessa.
Facciamo anche molta attenzione alla gestione del paziente dopo la procedura, nel senso che talvolta si tratta di interventi importanti che, specie negli anziani, genera il problema dell’assistenza a casa. In Umbria ho fortunatamente trovato un sistema di gestione di terapie domiciliari efficiente. Posso dirlo con cognizione di causa, perché in due anni mi sono trovato in diverse situazioni in cui i pazienti vengono dimessi in maniera protetta, cioè con infermieri e medici che vanno a casa, gestiscono ad esempio le ferite chirurgiche che necessitano di medicazioni e altre problematiche. Certo, dobbiamo ancora migliorare: c’è ancora la pandemia, anche se sotto controllo, c’è un’emergenza sanitaria nazionale dovuta alla carenza di medici, soprattutto in alcune specialità dell’emergenza, come gli anestesisti. Il sistema adesso è molto difficile da gestire, però ho notato una grande buona volontà da parte di tutti, comprese le istituzioni e le direzioni sanitarie.
Pensi che in questi due anni, dove ovviamente abbiamo lavorato in maniera limitativa perché le liste d’attesa chirurgiche sono ancora inficiate dal fatto che l’accesso alle sale operatorie è stato limitato a causa della mancanza di anestesisti, dalla necessità di predisporre reparti Covid, e di dare quindi la priorità problematiche più urgenti, siamo riusciti a mantenere un livello di prestazioni più o meno paragonabile a quello pre-Covid. Quindi insomma, con un certo spirito di sacrificio e un certo impegno, ci siamo riusciti.
Lei non è umbro vero?
No, sono di Pesaro, marchigiano… del confine. Quindi non ho l’accento marchigiano ma più romagnolo. (sorride)
Ho lavorato per circa vent’anni a Pesaro, perché è la mia città d’origine; prima ho avuto un periodo di formazione e di specializzazione con il professor Zotti, ho acquisito tecniche di chirurgia mini invasiva che ancora qui pratichiamo. Successivamente sono stato in America un paio d’anni e poi sono tornato a fare tutta la mia carriera di assistente prima, di aiuto poi.
Come si trova qui in Umbria, sia a livello personale, sia professionale?
Come in tutti i luoghi di lavoro, ci sono alti e bassi, ci sono situazioni da gestire, la perfezione non esiste da nessuna parte. Ecco, non è che c’è posto ideale.
Con la buona volontà di ognuno, al di là delle leggi, dei regolamenti, delle indicazioni burocratiche, c’è sempre la componente umana che migliora una situazione, quindi noi cerchiamo di mettercela tutti. I miei colleghi e collaboratori sono assolutamente dediti alla chirurgia; sono tutti molto giovani, tranne due colleghi che ho trovato già qui che lavorarono. Non che siano vecchi, ma sono molto più esperti. Quindi sotto la mia guida e dei colleghi più esperti penso di avere sviluppato un’équipe molto molto efficiente, che nei prossimi anni prenderà il volo da sola, diciamo.
Che numeri ha la chirurgia dell’ospedale di Branca?
Noi facciamo circa 1200 interventi l’anno. Tenga conto che negli anni precedenti erano intorno ai 1300, quindi non tanti di meno. Abbiamo incrementato la componente di urgenze, prima si lavorava con 20 – 25% di chirurgia d’urgenza rispetto al totale degli interventi, adesso è aumentata fino al 40% perché ci siamo presi carico anche delle urgenze del territorio di Assisi, del territorio di Castiglione del Lago e del territorio di Pantalla/Marsciano dei quali siamo riferimento chirurgico, tranne che per alcune patologie di nicchia come la chirurgia vascolare o la traumatologia epatica o neurotraumatologia.
Per quanto riguarda l’attività ambulatoriale?
Noi abbiamo una notevole attività ambulatoriale, circa 2.000 accessi all’anno. Come dicevo, tra i vari ambulatori di chirurgia generale, chirurgia proctologica, chirurgia vascolare venosa e chirurgia oncologica, abbiamo degli ambulatori molto molto efficienti. Le liste di attesa sono minime. Siamo riusciti a minimizzarle a 15 giorni, un tempo del tutto accettabile.
Prospettive future?
Per quel che riguarda le prospettive future, come ho detto io vengo da una formazione di chirurgia tradizionale, ma anche di chirurgia mininvasiva, la laparoscopia, e vorrei implementare questa componente perché ovviamente la chirurgia moderna deve avvalersi di certe tecnologie. Spero che in un futuro non troppo lontano si riesca a fare un upgrade tecnologico della nostra strumentazione.
Il sogno vero sarebbe il robot, la chirurgia robotica.
Mai dire mai…
No, ma è estremamente costoso. Insomma, mi rendo conto di tutte le situazioni e quindi rimane per adesso un sogno nel cassetto.