Con il dott. Francesco Corea, Neurologo presso l’Ospedale S. Giovanni Battista di Foligno, abbiamo parlato dell’Ictus, vera emergenza sanitaria se si pensa che secondo quanto riporta il Ministero della Salute, in Italia si verificano ogni anno 196.000 casi si ictus, di cui l’80% sono nuovi episodi e il restante 20% ricadute (cioè pazienti che hanno già sofferto di ictus in passato).
Dott. Corea, qual è la differenza fra ictus, ischemia e aneurisma?
Sono parole di uso comune che spesso ci capita di usare come sinonimi, anche se in realtà non lo sono. Ischemia vuol dire che non c’è una buona circolazione di sangue: essa può essere anomala nel cuore, quindi nel muscolo cardiaco, allora abbiamo una sindrome che si chiama angina o infarto miocardico. L’ischemia può avvenire anche in un braccio o in una gamba che diventano gelati, cianotici e quella è un’ischemia periferica di un arto. Quindi l’ischemia in sé può avvenire in qualunque distretto vascolare e può coinvolgere il distretto venoso o il distretto arterioso.
Se questa cosa succede nel sistema nervoso, allora si parla di ictus, quello che nell’uso comune si dice un colpo, “è venuto un colpo”. Gli anglosassoni lo chiamano stroke, che vuol dire proprio botta, colpo; i tedeschi lo chiamano schlaganfall, botta, caduta. Per cui anche nell’uso comune, in tutto il mondo, ictus vuol dire improvviso malfunzionamento del cervello. Può essere, secondo la classificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ischemico – se si ostruisce un’arteria e quindi non arriva sangue – o emorragico, se si lacera un’arteria e quindi c’è un’emorragia cerebrale.
Qui nasce il concetto di aneurisma. L’aneurisma è una dilatazione di un vaso dell’organismo che se esplode per uno sbalzo di pressione o uno per sforzo fisico, può portare a un sanguinamento. Si può avere un aneurisma della aorta addominale o di un qualunque vaso che, per motivi di cedimento strutturale o di malformazione, resta più fragile. L’aneurisma può essere nel cervello ed è una malattia drammatica in cui un’enorme quantità di sangue si espande e spesse volte è necessario l’intervento del chirurgo.
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Come si riconosce l’ictus e quali sintomi devono allarmarci?
Le molte campagne di sensibilizzazione si basano su alcuni acronimi, e quello più famoso è quello di F.A.S.T. usato dagli inglesi, che sta per Face Arm Speech Time. Noi in Italia usiamo acronimi come R.A.P.I.D.O. che sta per: Ridi per notare asimmetrie sul tuo viso; Alza il braccio per vedere se hai forza; Parla per verificare se riesci a esprimerti in maniera comprensibile; Ictus, cioè se noti anomalie dai precedenti test è possibile che tu abbia un ictus; Domanda aiuto chiamando immediatamente il 118; Orario, cioè prendi nota di quando sono iniziati i sintomi.
Indubbiamente se abbiamo una improvvisa asimmetria del viso, un braccio che non risponde ai comandi, le parole non vengono bene come prima, allora c’è qualcosa che non va. Gli operatori del 118 utilizzano una scala che prende il nome da una città nordamericana, Cincinnati, e quando noi chiamiamo dicendo “non mi sento bene”, “forse non sto ben dritto”, l’operatore del 118 inizia a intervistare l’interlocutore per acquisire i sintomi principali che possono far pensare a un disturbo neurologico acuto, che è quello che necessita di contromisure in tempo reale. Sottovalutare una paralisi a un braccio o una bocca storta può portarci in ospedale troppo tardi per ricevere le cure più idonee. Altri sintomi caratteristici sono anche gran mal di testa improvviso o attacchi epilettici, che chiaramente richiamano l’attenzione molto più facilmente di un’asimmetria del volto o di un disturbo a un braccio che possono fare pensare a cause meno gravi come una frescata, un problema alle ossa, ecc… Ovvio che un forte mal di testa, un collasso o una crisi epilettica ci spingono a chiamare il 118 immediatamente.
Quanto è importante il fattore tempo nel trattamento dell’ictus?
Si dice che il tempo è cervello, o Times is Brain per gli anglosassoni. Purtroppo, ogni minuto di ipossia o di sofferenza del sistema nervoso porta, ahimè, a danni irreparabili. Rita Levi Montalcini ha vinto un Premio Nobel perché ha studiato i fattori di crescita del neurone – quello era un embrione di pollo – sull’umano. Quello che è il patrimonio di cellule del sistema nervoso ha dei limiti finiti, per cui diciamo che le capacità rigenerative del sistema nervoso sono molto scarse. Qualche scienziato dice che forse fino ai 12-13 anni alcune parti del cervello rigenerano neuroni. L’esempio classico è quello della statua di marmo: il nostro artista ha questo blocco di marmo in mano che corrisponde a noi quando nasciamo. Crescendo perdiamo parte del volume cerebrale: nasce un’opera, nasce una statua bellissima, una Pietà di Michelangelo o una statua di Canova, ma ci sono meno cellule di quante ce n’erano, diciamo al momento dell’uscita del blocco di marmo dalla fabbrica. Il tempo è cervello e ogni minuto guadagnato nel cercare di curare un ictus, un’emorragia, un trauma cranico, è tempo ben speso per salvare neuroni. L’ictus ha colpito o colpirà una persona su sei durante il corso della vita: è una malattia molto frequente e riconoscerla in tempi ragionevoli e trattarla con le risorse di cui disponiamo, consente di limitarne i danni. Ogni 10 pazienti che arrivano in pronto soccorso nelle prime tre ore dalla comparsa dei sintomi, se riusciamo a somministrare loro i farmaci giusti, possiamo salvarne fino a 3 dal rischio di restare menomati, di avere gravi postumi, gravi deficit motori che poi sono un peso per la persona ma anche per tutta la comunità. Si tratta di una malattia che raramente uccide ma che spesso induce danni permanenti.
A proposito di cure, come si cura l’ictus?
Vi propongo di “giocare” con un piccolo applicativo che ho qui nel computer e che ci aiuta a parlare meglio di questa malattia.
Qui vediamo vene e arterie che sono azzurre. Classicamente il nostro cervello viene rifornito da due grandi sistemi arteriosi che sono quello carotideo e quello vertebro-basilare. Le carotidi sono queste grosse arterie che dal torace portano sangue al cervello, mentre le arterie vertebrali scorrono più a ridosso della colonna. Ebbene, queste arterie se si otturano, devono essere riaperte. Possiamo usare farmaci, possiamo usare tecniche meccaniche, un po’ come i cardiologi che entrano nel nostro cuore e mettono palloncini, dilatando depositi di colesterolo. Per cui sicuramente una risorsa importante è quella delle terapie di ricanalizzazione, siano esse farmacologiche o meccaniche, ma ci sono altre situazioni, tipo quelle di una di un’emorragia cerebrale. Ricordiamo come il buon Dio o l’evoluzione naturale a seconda del punto di vista, ha messo il cervello, cioè questo grosso circuito di controllo del nostro organismo, dentro una teca cranica, quindi ben protetto, avvolto da meningi, che sono dei foglietti protettivi, e ha messo un liquido per ammortizzare gli urti. Stiamo parlando di un vero e proprio santuario ben protetto: il cervello nella teca cranica, il midollo nella colonna vertebrale, una serie di anelli che proteggono questa sorta di cavo elettrico particolarmente delicato. Intervenire nel sistema nervoso è materia piuttosto delicata, poiché è un qualcosa di estremamente protetto, estremamente chiuso. Se l’ematoma è superficiale, l’intervento è più facile perché lo si può drenare; se l’ematoma è più profondo il neurochirurgo deve proprio entrare dentro il cervello e andare a effettuare un intervento di chirurgia stereotassica o di microchirurgia. I neuroradiologi sono chirurghi che entrano nel cervello attraverso vene, attraverso arterie e lavorano per chiudere l’aneurisma con dei micro-cateteri che consentono di entrare nel cervello senza dover aprire la teca cranica. Quindi qui la tecnologia fa la differenza, poiché un intervento demolitivo del cranio, oltre che esteticamente drammatico, può essere demolitivo anche di strutture nervose sane.
Si può guarire da un ictus se non ha fatto danni gravi? E dopo quanto tempo ci si può considerare fuori pericolo?
Il percorso di cura dell’ictus vede nelle prime ore una fase tempo-dipendente, per cui prima arrivo in ospedale, prima mi danno alcune medicine per poter limitare i danni. La prognosi dell’ictus si tende a sciogliere nei termini di prognosi quoad vitam nei primi due o tre giorni, la prognosi, sempre come dicono i latini quoad valetudinem, cioè per la autonomia della persona, va a chiarirsi già dopo un mese dall’evento. In questo i percorsi riabilitativi guidano i processi di recupero, per cui avere a disposizione buone strutture riabilitative – siano esse territoriali, ambulatoriali, day hospital o vere e proprie unità riabilitative ospedaliere – può far la differenza nel rimettere in piedi una persona, nel restituirla alla famiglia e alla comunità con la capacità di muoversi, guidare e badare a sé stessa. In questo senso, le prime settimane sono determinanti per scegliere le cure più appropriate e per minimizzare gli effetti collaterali legati all’ictus, che magari può anche allettare una persona. Un anziano in queste condizioni può avere complicanze infettive, o semplicemente ulcere o lesioni da decubito, che rappresentano un ulteriore momento di sofferenza rispetto a una malattia che già ci riduce i livelli di autonomia. Per cui, in genere nei primi 1-3 mesi, la situazione si stabilizza quindi è difficile osservare ulteriori passi in avanti dopo il primo trimestre.
Come si può prevenire questa malattia?
La prevenzione per l’ictus ischemico, quindi quello che assomiglia più all’infarto miocardico, ai disturbi cardiovascolari classici, si ottiene focalizzandoci sul controllo dei fattori di rischio, quindi ipertensione, lipidemia, diabete, cardiopatie concomitanti. Pertanto occorre adottare stili di vita appropriati: no all’abuso alcolico, al fumo di sigarette, all’uso di sostanze che portano a fare invecchiare cuore e cervello a velocità molto più incisive.
Ove ci siano grandi familiarità, si impongono accertamenti preventivi su nuclei familiari che abbiano dei cluster di ictus o disturbi neurologici particolarmente elevati. C’è familiarità per gli aneurismi, c’è familiarità per le malformazioni congenite e questo lavoro di medicina preventiva viene in genere svolto dalla medicina generale o dai pediatri che, ove ci siano situazioni di particolare rilievo, possono prendere delle iniziative.
In genere quindi pressione, colesterolo, diabete, sono gli elementi che ci consentono di restar giovani in assenza di altri fattori di rischio e scarso è l’apporto che possiamo dare se non attraverso uno stile di vita sano.
Dott. Francesco Corea
Neurologo Ospedale di Foligno USL Umbria 2
Segretario regionale Associazione Neurologia Emergenza Urgenza
Segreteria aziendale CIMO – FESMED
Laurea in Medicina e specializzazione in Neurologia nel 2003 a Perugia, fino al 2009 ricercatore presso IRCCS San Raffaele di Milano. Svolge attività presso la clinica Neurologica di Foligno USL Umbria2. Esperto di Ictus – Sclerosi Multipla in particolare implementa l’uso della Telemedicina nella pratica medica. Segretario regionale della Associazione Neurologia Emergenza Urgenza ANEU