Sandro Gerli è professore associato dell’Università degli Studi di Perugia e coordina il Corso di Laurea in Ginecologia e Ostetricia. Fin dal 1987, anche grazie alle sue esperienze presso il Service de Gynecologie et Obstetrique di Clermont-Ferrand, presso l’Università della California-Irvine, presso il Centro de Gynecologia y Obstetricia di Monterrey e presso l’Università degli Studi di Milano, ha potuto costruire e consolidare la sua esperienza nel campo dell’endoscopia ginecologica. Inoltre, è abilitato per la laparoscopia di II livello dalla SEGi, la Società italiana di Endoscopia Ginecologica di cui è stato rappresentante per l’Umbria dal 2000 al 2013.
Ci può spiegare che cos’è l’endoscopia ginecologica e per quali tipi di problematiche si adotta?
Se vogliamo parlare di endoscopia nel campo della ginecologia dobbiamo far riferimento soprattutto all’endoscopia operativa, cioè a quella tecnica che consente un trattamento chirurgico, con metodica cosiddetta mini-invasiva, mediante strumenti cui viene collegata una telecamera e un monitor. In poche parole, mediante l’approccio endoscopico è possibile effettuare interventi chirurgici ginecologici senza dover ricorrere al classico taglio sulla cute addominale, con strumenti di piccolissimo diametro. Da poco più di 30 anni, a seguito del miglioramento tecnologico delle strumentazioni endoscopiche, si è consolidato il concetto secondo il quale quasi tutti gli interventi chirurgici ginecologici possano essere realizzati con due metodiche endoscopiche, la laparoscopia, che prevede l’ingresso degli strumenti attraverso i fori addominali, e l’isteroscopia, che necessita di un particolare strumento, l’isteroscopio, che viene introdotto attraverso una delle cavità naturali, la vagina, per trattare le patologie della cavità uterina.
Passando alla chirurgia, che pratica ormai dal 1996 presso la Clinica Ostetrica di Ginecologica dell’Università di Perugia, che vantaggi presenta quella endoscopica rispetto alla chirurgia classica?
Ci sono tanti studi che hanno comparato, nel corso del tempo, le tecniche di chirurgia convenzionale con le metodiche endoscopiche. Tutti hanno evidenziato vantaggi significativi derivanti dalla minore invasività dell’endoscopia: minore dolore postoperatorio, ridotta durata della degenza, più breve convalescenza post chirurgica, minore produzione di aderenze post chirurgiche, migliori effetti estetici per l’assenza della cicatrice addominale. A ciò si deve aggiungere la precisione della chirurgia endoscopica, derivante dalla visione che risulta fortemente ingrandita.
Ci sono dei casi in cui si sconsiglia o in cui è materialmente impossibile eseguirla?
Diciamo che sono esclusivamente i casi in cui la patologia genitale sia di grandezza tale da rendere impossibile l’esecuzione della procedura. Ad esempio, casi come le importanti fibromatosi uterine, con uteri particolarmente grandi, che occupino tutto l’addome. Mi vengono in mente due casi che abbiamo trattato recentemente, nella stessa giornata, con due interventi effettuati con tecnica classica e che non era possibile realizzare in endoscopia. Il primo era un utero di 2,8 Kg e il secondo era addirittura di 6 Kg. Analogo discorso deve essere fatto per le isteroscopie operative.
Negli anni, un altro campo su cui si è incentrata la sua ricerca è l’endocrinologia ginecologica. Ci può spiegare di cosa si tratta e in che modo influisce sul benessere quotidiano e a lungo termine della donna?
A questo proposito dobbiamo innanzitutto dire che nel nostro corpo ci sono alcuni organi, le ghiandole endocrine, che producono ormoni necessari per il corretto funzionamento di alcuni apparati e, in generale, per il benessere della persona. Alcune di queste ghiandole producono ormoni sessuali e caratterizzano l’individuo da un punto di vista sessuale. L’endocrinologia ginecologica si occupa proprio dello studio di queste ghiandole presenti nella donna. La ghiandola endocrina femminile per eccellenza è l’ovaio e il suo buon funzionamento è richiesto a partire dall’adolescenza fino alla menopausa. Il benessere della donna dipende molto dalla regolare attività ovarica e solo con questa si può arrivare a una gravidanza spontanea. Noi oggi abbiamo la possibilità di studiare il funzionamento di queste ghiandole, analizzare le varie fasi in rapporto al momento del ciclo, capire le motivazioni che portano a una irregolare funzione, e iniziare, di conseguenza, un trattamento che ne ripristini l’attività. Solo al momento della menopausa, con la cessazione dell’attività ovarica e quindi delle mestruazioni, termina tale funzione, ma non per questo cessa il benessere della donna, che, al contrario, trova un nuovo equilibrio psico-fisico.
I disturbi endocrinologici hanno delle ripercussioni anche sulla fertilità? E su una gravidanza in corso?
Certamente. Consideriamo che l’ovaio ha una duplice funzione: la prima, come abbiamo detto, di produrre ormoni sessuali, la seconda, di produrre le cellule essenziali per la riproduzione, gli ovociti. Questi sono contenuti all’interno della unità funzionale dell’ovaio, il follicolo. L’ovaio contiene centinaia di migliaia di ovociti, ma solo uno di questi, per ogni ciclo mestruale, arriva all’ovulazione e può essere potenzialmente fecondato per iniziare una gravidanza. È chiaro, quindi, che se l’ovaio non produce gli ormoni e, soprattutto, se non ha ovociti che possano arrivare alla maturazione, non ci potrà essere alcuna gravidanza. Alcune delle patologie di endocrinologia ginecologica sono proprio caratterizzate da questa anomalia e possiamo, in alcuni casi, intervenire per trattare la patologia.
Che rapporto c’è tra tumori e endocrinologia ginecologica?
Alcuni organi o apparati del nostro corpo sono sensibili agli ormoni. Vi sono molte correlazioni tra il funzionamento delle ghiandole endocrine e, ad esempio, la mammella e l’utero, ma vi sono certamente anche altri organi o apparati che risentono dall’attività endocrina. L’attività ghiandolare va quindi monitorata e va valutato un eventuale malfunzionamento. Molto spesso non è tanto l’ormone di per sé a essere pericoloso da un punto vista oncologico, ma la presenza di specifici recettori situati sul tessuto considerato, che, in alcuni casi, possono essere in numero significativamente superiore, con il rischio che, in tal modo, possa svilupparsi la neoplasia.
Ci sono delle condizioni fisiche, genetiche o patologiche che potrebbero rendere rischiosa una gravidanza?
Sì, certamente. Possiamo fare qualche esempio, la sindrome dell’ovaio policistico o la sindrome metabolica in donne obese. Con queste patologie femminili oggi sappiamo che possiamo innanzitutto avere una difficoltà riproduttiva. Le donne possono andare incontro a infertilità, aborto e, se si instaura la gravidanza, questa può essere più complessa per l’insorgenza di complicanze quali il diabete gestazionale, l’ipertensione gestazionale, il parto pretermine. Ed anche dopo il parto, per il neonato e per l’individuo che diventa adulto, possono manifestarsi le cosiddette patologie di origine epigenetica, che derivano proprio dalle patologie che abbiamo citato nella donna che affronta la gravidanza.