Prima puntata dell’intervista col direttore della Struttura Complessa di Ostetricia e Ginecologia dell’ospedale di Perugia.
Abbiamo dato voce alle donne e posto delle domande su diversi argomenti al dottor Saverio Arena, ginecologo e direttore f.f. della Struttura Complessa di Ostetricia e Ginecologia dell’Azienda Ospedaliera di Perugia. Una chiacchierata informale che tocca tante tematiche: la prevenzione, le patologie di cui può soffrire l’apparato genitale femminile, la gravidanza, i contraccettivi, l’interruzione volontaria di gravidanza e la menopausa, ma anche diverse curiosità a cui solo un ginecologo può rispondere. Usciremo con diverse puntate per fornirvi un quadro il più completo possibile e – perché no – per rispondere anche alle vostre domande e alle vostre curiosità. Nella prima puntata parliamo di prevenzione, vaccini, tumori, fibromi e tecniche di rimozione.
Dottor Arena partiamo dall’inizio: a che età è bene fare la prima visita ginecologica?
Non c’è un’età precisa, sicuramente è bene iniziare quando si hanno i primi rapporti sessuali, oppure se ci sono anomalie o alterazioni ormonali, che possono essere normali in un’adolescente. Ci sono delle mamme più apprensive che già a 12-13 anni portano le figlie a fare le visite ginecologiche, ma non sono molto d’accordo. A meno che non si verifichino anomalie come una pubertà precoce, una dismenorrea importante o delle metrorragie, potremmo rimandare il primo incontro agli anni successivi. Verso i 15-16 anni può avere un senso, soprattutto perché è bene associare un controllo ginecologico a una vera e propria educazione sessuale, alla quale non viene data la giusta attenzione, mentre invece è fondamentale informare e sensibilizzare i giovanissimi su questo argomento.
Con che frequenza vanno fatte le visite per un’accurata prevenzione?
Se non ci sono problemi particolari va bene una volta l’anno, mentre se sono presenti patologie da controllare o terapie in corso è bene sottoporsi a controlli più stretti, che possono essere semestrali o raramente trimestrali.
Quanto è importante il vaccino contro il papilloma virus e quando va fatto?
Il vaccino è assolutamente importante ed è obbligatorio, a mio parere. Oggi viene somministrato sia alle bambine sia ai bambini: questi ultimi infatti possono essere dei portatori, quindi è bene vaccinare tutti. Si può fare fino ai 45 anni, anche se andando avanti con gli anni si riduce l’efficacia. È falso pensare che, una volta positivizzati dal virus, non si può più somministrare; assolutamente no. Sono fondamentali anche gli screening preventivi come il pap test, che viene fatto dai 25 ai 35 anni ogni 3 anni, e il test HPV (Human Papilloma Virus) che dopo i 35 anni va fatto ogni 3 anni e poi ogni 5: sembra una banalità, ma ci permette di individuare infezioni ed eventuali tumori. Il vantaggio del sistema di screening è quello che ha cadenza periodica e la donna viene contattata a eseguire il test gratuitamente.
Parliamo proprio di tumori: quali sono i campanelli d’allarme che devono mettere in guardia una donna?
Se si fanno controlli regolari è in teoria più facile intercettarli. I tumori della sfera genitale – vulva e vagina – hanno una comparsa più avanti negli anni, mentre quello al collo dell’utero riguarda un’età più giovane o donne più anziane che non hanno fatto regolari pap test. È bene sottolineare come la regolarità dei controlli riduca il rischio dell’insorgenza della malattia. Poi c’è il tumore all’endometrio, che è molto più frequente in pazienti con obesità, ipertensione e diabete e in età post menopausa. Ovviamente anche le altre donne non vanno escluse, ma raramente colpisce in età fertile o in gioventù. Tutte queste neoplasie si manifestano solitamente con perdite ematiche. Il tumore all’endometrio, ad esempio, dà perdite acquose, rosa e atipiche soprattutto in menopausa; quelle del collo dell’utero sono ematiche e abbondanti, mentre il tumore alla vulva si manifesta con lesioni evidenti anche a occhio nudo più che con sanguinamento. È opportuno chiarire che una patologia oncologica può manifestarsi in tanti modi differenti, anche molto subdoli, per cui la regolarità dei controlli riduce le brutte sorprese. Poi c’è il cancro dell’ovaio, che è la bestia peggiore per una donna perché spesso è completamente asintomatico o si manifesta in maniera violenta, cioè con una massa molto grande – nella maggior parte dei casi si palesa in modo da essere riconoscibile precocemente – o con una disseminazione addominale importante, che in genere richiede un’immediata unione tra terapia medica e chirurgica. Queste ultime sono le forme più aggressive. Ovviamente su questo potremmo parlare per ore, ma quello che voglio ribadire è che, se una donna fa visite con regolarità e tiene tutto sotto controllo, la comparsa di perdite strane o l’aumento dell’addome diventano dei campanelli d’allarme. Importante, inoltre, soprattutto dopo la menopausa, controllare regolarmente le ovaie e l’endometrio. Con i pap test regolari il tumore del collo dell’utero ha oggi un’incidenza di mortalità molto inferiore rispetto agli anni passati, perché lo screening fa sì che queste patologie possano essere gestite in tempo. L’utero, invece, è un organo che manifesta precocemente i sintomi con piccole perdite che devono mettere all’erta, mentre l’ovaio è più subdolo quindi è bene fare più attenzione anche alle minime variazioni e fare controlli regolari.
Invece, polipi, fibromi e miomi che sintomi hanno?
Solitamente sono totalmente asintomatici e si diagnosticano al controllo ecografico, oppure si manifestano con perdite ematiche che possono essere scarse o più abbondanti.
Quali metodi chirurgici vengono utilizzati dall’ospedale di Perugia per rimuovere queste patologie?
In questo momento la Struttura Complessa di Ginecologia e Ostetricia del Santa Maria della Misericordia di Perugia è in grado di offrire tutte le possibili soluzioni per la guarigione delle patologie, dalla quelle endoscopiche a quelle laparotomiche e siamo una realtà regionale che utilizza chirurgia robotica, in particolare per patologie oncologiche. Nel 90% dei casi pratichiamo chirurgia di tipo endoscopico, limitando gli interventi più invasivi per le malattie in cui non si può intervenire in altro modo, come il cancro dell’ovaio avanzato o le grosse masse addominali. L’obiettivo dell’endoscopia è quello di garantire il miglior risultato nel minor tempo di permanenza in ospedale: non è soltanto per un fattore legato all’estetica – quattro piccoli buchi sono meno visibili e guariscono prima di una cicatrice addominale – ma anche alla possibilità di accedere a terapie successive – soprattutto per l’oncologico – nel più breve tempo possibile. Siamo un’eccellenza anche sul mininvasivo con l’utilizzo della chirurgia resettoscopica per le patologie della cavità uterina, sia per polipi sia fibromi. Questo ci permette di avere una degenza minima: basti pensare che per un intervento importante, come può essere l’asportazione di un cancro dell’endometrio o un’isterectomia, la paziente resta ricoverata 24, massimo 48 ore e quando torna a casa è in grado di fare larga parte delle attività quotidiane. Inoltre, in campo oncologico ci avvaliamo della tecnica del linfonodo sentinella per ridurre ulteriormente l’invasività nel trattamento dei tumori.
Di cosa si tratta?
Il linfonodo sentinella è la marcatura della prima stazione linfonodale sul flusso linfatico partendo da un organo e ci permette di identificare precocemente la presenza di metastasi; lo facciamo per il tumore all’endometrio e per quello al collo dell’utero, seguendo metodiche validate a livello mondiale.
Il vostro è un lavoro di squadra…
Esatto. È un lavoro che coinvolge tutti, dove l’operatore è solo l’elemento finale di un sistema molto complesso. Occorre un team composto da anestesisti, ferristi e colleghi che siano in grado di gestire al meglio il momento chirurgico, ma anche tutto il passaggio pre e post operatorio. La paziente resta in sala operatoria un tempo estremamente breve. Va sottolineato che il tempo chirurgico è solo una piccola parte del tempo totale: la degenza media di 24 ore prevede 2 ore di sala operatoria e 22 ore in reparto. Qui c’è un lavoro enorme che spesso viene considerato poco ma che invece è importantissimo. Fondamentale è anche il ruolo degli anestesisti e dei ferristi, così come delle ostetriche o degli infermieri, che hanno un compito importantissimo che spesso nessuno vede. Alla fine tutti si ricordano del chirurgo e nessuno si ricorda di tutti quelli che sono dietro e che senza di loro non sarebbe in grado di portare a termine l’operazione. Questo è un lavoro di team che a volte coinvolge, negli interventi laparoscopici, anche altri reparti: penso agli urologi e ai chirurghi generali, che ci supportano sul cancro dell’ovaio.
Continua…
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