Il dottor Manuel Monti dal 15 giugno scorso è il nuovo direttore di struttura operativa complessa del Pronto Soccorso dell’Ospedale di Gubbio e Gualdo Tadino. Un polo sanitario strategico per la nostra regione, con un bacino d’utenza importante.
Dott. Monti, lei ricopre questo ruolo da pochi mesi. Come noto, il pronto soccorso è proprio per sua natura una delle aree di maggiore complessità all’interno di un ospedale. Che situazione ha trovato da un punto di vista dell’organizzazione, della gestione delle liste d’attesa – che sono un po’ uno dei problemi annosi del pronto soccorso – e quali azioni ha intrapreso per migliorare, se possibile, i servizi?
Consideri che noi siamo il quarto pronto soccorso dell’Umbria con un circa 25.000 accessi. Riceviamo un bel numero di pazienti sia provenienti dal nostro distretto, sia da distretti vicini. Copriamo anche una parte delle Marche, quindi sicuramente c’è abbastanza movimento. La struttura era già organizzata dal mio predecessore in maniera buona. Insieme ai colleghi che ci lavorano riusciamo a gestire soprattutto le persone più gravi in maniera immediata e idonea. Tra le migliorie che stiamo facendo ci sono il fast track di oculistico-ortopedia, che e è un termine che indica un percorso veloce: un paziente che ha soltanto una patologia, in questo caso oculistica o otorina, viene direttamente mandato dal triage allo specialista che lo vede e poi eventualmente lo dimette come nella maggior parte dei casi, o lo ricovera. In questa maniera abbiamo ridotti i tempi d’attesa per queste patologie. Tra gli altri progetti abbiamo, insieme al dottor Tamburini, direttore della chirurgia con cui collaboriamo in maniera stretta – anzi lo ringrazio perché in questo periodo di mancanza di personale ci sta molto aiutando – un’osservazione breve chirurgica; questo è un progetto che stiamo portando avanti e che cercheremo di realizzare a partire da ottobre. Prevede che tutti quei pazienti che hanno delle patologie chirurgiche, ma che non devono essere operate immediatamente, vengano messi in osservazione nel reparto di chirurgia e gestiti dai colleghi chirurghi, insieme a noi. Questo permetterebbe di aumentare l’appropriatezza dei ricoveri nella chirurgia. D’altro canto, noi potremmo dedicare i nostri posti letto di osservazione breve – in questo momento ne abbiamo sei – ai pazienti con patologie mediche.
Poi stiamo cercando di organizzare anche dei progetti per migliorare proprio i ricoveri: i pazienti a volte rimangono vari giorni in osservazione breve per vedere se una patologia è evolutiva oppure no e stiamo cercando di migliorare questo processo, ottimizzando le risorse, per dare la garanzia di una continuità assistenziale.
Nel corso dei mesi a venire cercheremo di portare avanti altre iniziative.
Il Covid sta ancora avendo un impatto significativo sull’organizzazione e sulla normale operatività o la situazione è un po’ più tranquilla?
Bella domanda! In questo momento, ma non diciamolo forte, è più tranquilla fortunatamente.
A Branca c’è un reparto Covid che naturalmente ci aiuta molto per ricoverare i pazienti.
Quei pazienti che vengono con dei sintomi o sono stati a contatto con persone con sospetto Covid, devono fare un percorso separato. Ho trovato già un percorso ben organizzato per isolare i pazienti e gestirli in attesa del risultato ed eventualmente ricoverarli. Questo naturalmente porta un allungamento dei tempi d’attesa, ma è fondamentale non avere cluster all’interno del pronto soccorso e dell’ospedale.
Dovremo abituarci a lavorare in questa modalità, indipendentemente se parliamo del SARS-CoV-2 o di altre di altre patologie emergenti.
Mi parlava della collaborazione anche col dottor Tamburini, che tra l’altro è stato recentemente nostro ospite. Quanto è importante, appunto, la collaborazione con altri reparti? Pensa che sia un aspetto da potenziare? Ci sono margini per farlo ulteriormente?
Assolutamente, è fondamentale la collaborazione con tutti i reparti. Ho trovato molte persone disponibili e naturalmente riuscire – soprattutto sui casi un pochino più complessi – a lavorare insieme, a fare dei team multidisciplinari, a discutere del paziente dove è meglio ricoverarlo per la gestione, è fondamentale. Spesso qui vengono pazienti anziani che non hanno un’unica patologia, ma ne hanno diverse, quindi l’approccio multidisciplinare è fondamentale.
Questo è un punto al quale tengo molto, sia per quanto riguarda le varie specializzazioni mediche, sia con gli altri professionisti sanitari come i tecnici di laboratorio, gli infermieri con cui lavoriamo H24, i logopedisti e tutte le altre figure professionali che abbiamo all’interno dell’ospedale.
Quindi il multidisciplinare deve essere inteso in senso lato: non si può più lavorare nel proprio orticello, assolutamente.
Lei proviene dalla direzione del reparto di medicina dell’ospedale di Assisi. Il passaggio da quella realtà, dove probabilmente le attività possono essere programmate, a un contesto di gestione delle emergenze cosa ha significato?
A mia discolpa posso dire che in realtà ho lavorato in vari pronto soccorsi prima di fermarmi nella Medicina di Assisi: pronto soccorsi di Roma e del Piemonte e, qui in Umbria, ho iniziato con il pronto soccorso di Assisi. Quindi ci sono varie realtà in cui ho lavorato, di piccole, medie e grandi dimensioni – se non grandissime, l’ultimo Tor Vergata – e questo secondo me è utile perché permette di avere una mentalità un pochino più ampia e riuscire a vedere i problemi a 360 °.
È diverso certo, un reparto di medicina rispetto a un reparto del pronto soccorso, anche se poi anche in medicina puoi programmare ma spesso ci sono urgenze, criticità che vanno risolte quindi è fondamentale che ci sia la presenza e la collaborazione di tutti i colleghi, siano essi medici, infermieri, OSS; questo ho visto crea un clima di armonia, di collaborazione per tutte le figure professionali. Questo vale sia nei reparti di medicina sia nei reparti di pronto soccorso; è la carta vincente che ci permette di superare anche le difficoltà più importanti.
Per concludere questa nostra chiacchierata, ha qualcosa da aggiungere che può interessare i nostri ascoltatori?
Fondamentalmente occorre capire che il pronto soccorso, in questo momento, è diventato un luogo dove le persone si rifugiano perché spesso non trovano delle risposte all’esterno.
A me non piace parlare di accessi inappropriati: non sono inappropriati, sono persone che si trovano in difficoltà. Noi speriamo che questo nuovo d.m. 77, che introduce nelle case gli ospedali di comunità, ci possa dare una mano affinché il territorio sia coinvolto in maniera più pesante; così come il pronto soccorso lavora 24 ore su 24, il territorio deve diventare una sorta di pronto soccorso e lavorare h 24, perché le persone, anche per problemi non urgenti – io parlo ad esempio dei pazienti oncologici o di quei pazienti con patologie croniche importanti – hanno necessità d’avere un punto di riferimento che spesso potrebbe non essere il pronto soccorso con tutte le file da fare, ma potrebbe essere il territorio. Quindi ecco, noi puntiamo molto su questo nuovo assetto che si sta dando al territorio sperando che ci sia un’integrazione; anche lì è fondamentale creare il clima di armonia, un clima di collaborazione col distretto, con il territorio, con le persone che lavorano sul campo, a casa dei pazienti o all’interno dei palazzi della salute.
E poi l’altra collaborazione – lo dico avendo una madre medico di famiglia – è appunto con i medici di famiglia; quindi noi cerchiamo sempre di informarli e di avere un rapporto proficuo perché è il medico che vede il paziente, lo conosce molto più di noi e quindi ci può aiutare, così come noi, nel nostro piccolo, possiamo aiutare loro.