A pochi giorni di distanza dalla Giornata internazionale dell’infermiere che si è celebrata lo scorso 12 maggio, abbiamo intervistato Emanuela Ruffinelli presidentessa dell’Ordine delle Professioni Infermieristiche della provincia di Terni.
Intervista integrale
Iniziamo da una domanda forse banale, però ci vuole parlare di questa professione dell’infermiere che nell’immaginario di tutti, più che una professione è quasi una vocazione?
Ancora sono molte le persone che pensano che per esercitare la professione infermieristica ci voglia proprio questo spirito vocazionale, missionaristico, perché è una professione che costa molto sacrificio, abnegazione, una professione molto molto impegnativa; però diciamo anche che la nostra professione è stata un po’ mitizzata nei secoli per i suoi connotati religiosi, mistici, filosofici.
Ricordiamoci sempre che i tre grandi riformatori dell’assistenza erano santi: San Giovanni di Dio, San Vincenzo de Paoli e San Camillo de Lellis. Ci tengo sempre a ricordarli perché questi santi si studiano durante il corso di laurea e anche perché è importante conoscere le nostre radici. Sono un’appassionata di storia dell’assistenza e… la professione dell’infermiere è una vera missione? Punto interrogativo! Forse sì, perché chi la esercita deve essere un grande esperto di umanità come aveva detto il nostro Santo Padre.
Però noi preferiamo dire che l’infermiere è soprattutto una professione con alle spalle tre anni di studi universitari molto impegnativi che forniscono competenze evolute e specialistiche che mirano a fornire cure di alta qualità alla persona che poi ci accingiamo ad assistere.
Comunque l’importanza della nostra professione è aumentata molto. In questi ultimi due anni si è parlato molto di noi, ma già negli ultimi decenni l’infermiere non è più visto solo come il professionista che eroga delle cure, ma un professionista che promuove salute, fa prevenzione in ogni ambito: nei confronti delle malattie, degli infortuni e delle disabilità e si occupa anche di riabilitazione. E ancora, di palliazione.
E queste attività vengono svolte sia in ambito ospedaliero e sia, alcune di esse, in ambito domiciliare sul territorio. Il personale infermieristico in questi due anni è salito un pochino alla ribalta perché ha lavorato intensamente, specialmente nel primo periodo della pandemia in cui si è trovato a combattere contro un virus che nessuno conosceva.
Non sapevamo all’inizio, come curarlo, come agire. È stato veramente molto difficile, soprattutto perché ci trovavamo di fronte a una situazione di grave carenza dell’organico che noi ci portiamo dietro ormai da tanti anni. Pensi che al momento le ultime stime ci dicono che in Italia mancano oltre 70.000 infermieri e 70.000 infermieri sono tanti. Come si può garantire un’assistenza capillare, con il poco personale che abbiamo? Può essere considerata la nostra professione una missione? Forse per il forte senso di responsabilità che ha il professionista permeato nei valori del rispetto della dignità della persona assistita, come recita il codice deontologico.
Il nostro non è certo un lavoro molto semplice, perché assistere le persone significa anche conoscerle, significa progettare, collaborare soprattutto con tante altre figure professionali, perché noi in fondo siamo un po’ il collante con tutte le altre professioni.
Oggi si parla molto di una nuova figura, l’infermiere di prossimità. Chi è e di cosa si dovrà occupare?
Certo, si parla molto di questa figura, ma in realtà non soltanto oggi, ormai se ne parla da decenni.
Il discorso dell’infermiere di Comunità è stato oggetto di convegni, di articoli scientifici e chi più ne ha più ne metta.
Se ne è parlato molto e ci sono state regioni che sono state molto sensibili e quindi hanno istituito questa figura. Altre regioni lo sono state di meno. La nostra regione si trova un pochino in mezzo. A questo proposito ci tengo a dire che appena tre settimane fa è partito un corso di formazione proprio per infermiere di famiglia presso la Scuola Umbra di Pubblica Amministrazione a Villa Umbra con un cospicuo numero di ore, proprio perché la nostra regione intende istituire questa figura, collocarla nelle nostre province.
È una figura importante perché noi ci portiamo dietro il suggerimento che ci aveva dato la nostra antesignana Florence Nightingale nel 1889, che già ci suggeriva e diceva che le persone devono essere curate a casa e lei pensava che prima o poi sarebbero dovuti sparire gli ospedali. Poi terminava la frase dicendo, ma “a che serve parlare ora dell’anno 2000?”. L’anno 2000 è arrivato e ci ha trovati ancora impreparati; ci sono state tante normative che hanno detto quanto fosse importante questa figura che entra nelle case delle persone, nelle scuole, entra capillarmente su tutto il territorio e si prende cura non solo della persona che in quel momento ha bisogno di essere assistita, ma di tutto il nucleo familiare, perché quando c’è una persona in famiglia che ha problemi di salute, tutta la famiglia diventa un nucleo sofferente che è importante sostenere.
Una figura che aiuti le persone a gestire la malattia, a gestire la terapia che devono fare, a gestire le prescrizioni mediche e tutte le attività quotidiane facendo educazione sanitaria. Deve stimolare le persone e ad essere autosufficienti nei limiti del possibile e laddove non lo sono, cercare di istruire i familiari affinché possano garantire, diciamo, il percorso di malattia in maniera dignitosa.
E oggi come oggi proprio la pandemia ci ha fatto rendere conto quanto sia importante questa figura, perché purtroppo tante malattie patologiche che prima venivano gestite in ospedale, ora sono state gestite a casa.
Quindi è fondamentale questa figura perché deve dare proprio un valido sostegno alla persona, ma soprattutto deve collaborare con tutti gli altri professionisti sanitari perché rappresenta un po’ colui che tiene le fila della situazione del paziente.
Proprio il periodo della pandemia ha evidenziato quanto sia importante che il sistema sanitario sia ramificato sul territorio fino ad arrivare al domicilio del paziente. In attesa che questa figura diventi pienamente attiva, com’è la situazione nel territorio ternano?
Nel ternano abbiamo i centri di salute – i PES, Punti Erogazione Servizio – della Usl Umbria 2 che sono distribuiti capillarmente su tutto il territorio e forniscono prestazioni non soltanto sanitarie ma anche sociali. Durante la pandemia hanno svolto veramente un lavoro prezioso e con tanto sacrificio.
Nel periodo della pandemia sono stati istituiti i Drive Through per il tracciamento dei tamponi sul territorio si è lavorato molto, così come abbiamo avuto i CAS – Centri Attività Sanitarie – nei centri vaccinali di Terni e della provincia. Si è lavorato veramente tanto, con un personale molto ridotto. Però abbiamo dato il massimo, i colleghi hanno dato il massimo, lavorando ininterrottamente per tante ore.
Come può fare un cittadino che ha bisogno oggi di questi servizi domiciliari?
Si deve rivolgere al medico di famiglia attraverso una segnalazione che poi con un apposito programma informatico attiva i servizi di assistenza domiciliare, oppure anche attraverso una dimissione protetta dall’ospedale.
Emanuela, ha una bella storia da raccontarci legata alla sua esperienza professionale?
Ho lavorato tanti anni e di storie ne ho tante, belle anche se non tutte a lieto fine.
Nel periodo che lavoravo nel Dipartimento di Scienze Neurologiche ho avuto tanti giovani in coma e ricordo che una volta avevamo ricoverato un bambino che era in coma. Io suggerii ai genitori di portare il televisore con videoregistratore. All’epoca c’erano le videocassette e pensai di far ascoltare i cartoni animati al bambino. Ricordo che i genitori pur di fare qualcosa per questa creatura che aveva 8 anni, portarono questo televisore con il videoregistratore e un po’ di videocassette dei cartoni animati di quel periodo. Un giorno entra un medico e si arrabbia tantissimo perché c’era questo televisore e chiese chi avesse dato l’ordine. Risposi «sono stata io». «Ma si rende conto che prima bisogna vedere se è possibile mettere un televisore qui? » mi disse «L’impianto può saltare, lo faccia togliere». Allora io risposi: «Prima di farlo togliere faccio venire l’elettricista. Se tutto è a norma il televisore rimane». In effetti era tutto a norma e i genitori mi abbracciarono forte. Far ascoltare i cartoni animati non servì a molto, perché poi questa creatura venne a mancare, però i genitori in quel momento furono felici di questo suggerimento che avevo dato perché pensavano che forse potevano aiutare il figlio e ricordo con tanto tanto piacere il loro abbraccio.
Concluderei con un messaggio, visto che è appena trascorsa questa celebrazione della Giornata internazionale dell’infermiere, una sua riflessione per salutare i nostri ascoltatori.
Sì, si è conclusa questa giornata da appena pochissimi giorni e devo dire che è stata veramente un momento emozionante.
Come ordine degli infermieri abbiamo promosso il film Io resto che in questo momento viene promosso da vari OPI di varie province d’Italia.
È stato molto bello e commovente, perché poi mi sono ricordata che l’ultimo 12 maggio che abbiamo festeggiato in presenza, è stato due anni fa, nel 2019 e fu un festeggiamento bello, con tanta musica e lo festeggiamo nella residenza protetta di Collerolletta, una casa per anziani, e lo slogan di quel 12 maggio era “la sanità non funziona senza infermieri”. E che cosa posso ripetere oggi come oggi? Che la sanità non funziona senza infermieri!
La nostra professione non è più tanto attrattiva come qualche anno fa, perché purtroppo ci sono alcuni muri che devono essere sfondati. Quindi a parte la grave carenza di organico che c’è, è importante rendere un pochino più attrattiva la professione puntando sulla formazione, puntando anche sullo sviluppo di carriera, perché oggi abbiamo tanti colleghi che hanno fatto percorsi di studi superiori, hanno acquisito una laurea magistrale, hanno acquisito master di primo e secondo livello e non hanno possibilità di carriera. In ultimo, ma sicuramente non meno importante, è il riconoscimento economico, perché oggi siamo un paese dove gli infermieri sono sottopagati e questo purtroppo porta molti ad andare altrove. In genere vanno in Gran Bretagna, in Olanda, in Germania, dove gli stipendi sono decisamente molto più alti.
Quindi vorrei concludere dicendo che i nostri politici si devono attivare perché gli infermieri rappresentano la spina dorsale del sistema sanitario e pertanto devono avere i giusti riconoscimenti, perché altrimenti viene a mancare quella spinta per proseguire la professione.
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