Il vaccino può essere considerato il più efficace degli interventi in campo medico mai scoperto dall’uomo. Proseguiamo l’excursus sull’impatto che le vaccinazioni hanno avuto nel ridurre la mortalità infantile, nell’aumentare l’aspettativa di vita e nel migliorare la salute umana; uno dei capitoli più ricchi, affascinanti e avvincenti della storia della medicina.
Pasteur e il vaccino contro la rabbia
Louis Pasteur, padre della batteriologia e fra i primi a dimostrare la teoria dei germi – cioè la teoria secondo la quale le malattie infettive erano causate da un agente microscopico vivente – rappresenta un altro fondamentale capitolo nella storia della vaccinazione. Con Pasteur, si sviluppa ulteriormente il concetto di attenuazione secondo il quale il germe poteva essere attenuato in vari modi – passandolo serialmente in animali diversi, o in colture cellulari, o aggredito con calore od ossigeno – per renderlo innocuo, ma, allo stesso tempo, capace di suscitare la risposta immunitaria. Pasteur riuscì ad attenuare, in primo luogo, il bacillo del colera dei polli che era stato isolato qualche anno prima.
La scoperta, in realtà, fu dovuta a una di quelle fortunate casualità che si incontrano, a volte, nella storia della scienza. Pasteur scoprì che certe colture vecchie, cioè che aveva dimenticato in laboratorio nel corso delle vacanze, fornivano un virus fortemente attenuato ed efficace, quindi, nell’indurre l’immunità nei polli contro il colera. Come spiegò Pasteur stesso era stata la prolungata esposizione all’ossigeno ad attenuare i germi.
Dopo aver sviluppato, allo stesso modo, un vaccino contro l’erisipela suina, si dedicò allo studio della rabbia. All’epoca si pensava che l’agente patogeno risiedesse solo nella saliva del cane, mentre Pasteur dimostrò che si trovava nel sistema nervoso, sebbene non disponesse di microscopi abbastanza potenti per individuarlo, visto che non si trattava di un batterio, ma, appunto, di un virus, l’osservazione dei quali sarà possibile solo con l’avvento della microscopia elettronica. Si convinse, poi, di poter ottenere un virus attenuato attraverso l’esposizione all’aria di midollo spinale di coniglio infettato. Nel 1885 ottenne uno straordinario successo inoculando questa sostanza in alcuni pazienti morsi da cani rabbiosi e la riuscita del suo vaccino lo rese ancora più famoso in tutto in modo.
Robert Koch e la tubercolina, i suoi assistenti e la sieroterapia
L’altro grande rappresentante della microbiologia ottocentesca, nonché rivale di Pasteur nella corsa all’isolamento di batteri e all’introduzione di nuovi vaccini, fu Robert Koch. Se in Francia la nuova disciplina era definita microbiologia, in Germania era nota come batteriologia: una semplice questione terminologica che, in realtà, nascondeva una spiccata rivalità fra i due Paesi. Ebbene, Koch è universalmente noto per aver isolato, per primo, il bacillo della tubercolosi, ancora oggi chiamato bacillo di Koch, scoperta che gli valse il Nobel nel 1905. Tuttavia, fu anche protagonista di un clamoroso fallimento.
Egli infatti tentò in ogni modo di produrre un vaccino, ma la sua tubercolina si rivelò del tutto inefficace, sebbene fu poi utilizzata, con successo, nella diagnostica della malattia. Per inciso, il primo vaccino contro la tubercolosi fu introdotto da Albert Calmette e Camille Guérin. I due ricercatori francesi trasferirono un ceppo di batteri di tubercolosi bovina per 230 volte, lungo un periodo di ben 13 anni, in terreni di coltura costituiti da bile, glicerina e patata, ottenendo, così, un germe non virulento che fu chiamato Bacillus Calmette-Guèrin e utilizzato a partire dai primi anni Venti del Novecento.
Qualche anno prima di Koch, nel 1901, il Nobel per la medicina era stato assegnato a Emil von Behring e Shibasaburo Kitasato – entrambi avevano lavorato con Koch stesso a Berlino – per i vaccini contro la difterite e il tetano. In questo caso, non si trattava di iniezione di germi in qualche modo attenuati, ma di vaccinazioni attraverso preparazioni di siero sanguigno di animali infettati che avevano sviluppato gli anticorpi alla malattia. Nasceva, con ciò, la sieroterapia. Un’antica pratica riutilizzata diverse volte nel corso della storia successiva – non ultima contro le epidemie di Ebola – che, tra l’altro, oggi è nuovamente sotto i riflettori nelle discussioni sulle possibili terapie contro il Covid-19.
Il vaccino antipoliomielite
La poliomielite o paralisi infantile è causata dal poliovirus trasmesso tramite il contatto con gli escrementi (mani sporche) o con acque contaminate. Molte persone contraggono la malattia senza neanche saperlo. Circa nell’1% delle persone infette, la malattia causa una paralisi dolorosa e sovente irreversibile. Le paralisi colpiscono le braccia e le gambe. Prima dell’esistenza del vaccino, era frequente mettere a letto la sera un bambino sano e ritrovarlo l’indomani paralizzato a vita.
La malattia evolve verso la morte da 2 a 6 ammalati su 10, se il virus della poliomielite colpisce i centri del controllo della respirazione o della circolazione sanguigna nel cervello.
Non esiste nessun farmaco per curare la poliomielite, ma esiste la vaccinazione, che ha eradicato la malattia nella maggior parte dei paesi del mondo.
L’attenuazione attraverso passaggi in un ospite inabituale rispetto agli organismi normalmente infettati, fu realizzata per ottenere il primo vaccino. Hilary Koprowsky sviluppò un vaccino orale ottenuto attraverso passaggi seriali del virus della malattia in embrioni di pollo e topo, testato per la prima volta nel 1950, ma entrato in produzione e diffuso, soprattutto in Africa, solo diversi anni dopo.
Nello stesso periodo, Jonas Salk e Albert Sabin lavorarono a un vaccino percorrendo strade diverse da un punto di vista tecnico-scientifico e, inoltre, con una certa rivalità reciproca. Salk ottenne dagli Stati Uniti dei mezzi senza precedenti – dal punto di vista dei fondi, del personale di laboratorio e dei soggetti sperimentali – per sviluppare un vaccino basato su virus inattivato. Dopo essere stato sperimentato da Salk su sé stesso e in seguito su diversi soggetti con successo, il farmaco fu presentato al mondo, in modo trionfale, nel 1955. Alber Sabin, invece, ottenne il vaccino attraverso la cultura in vitro di cellule utilizzate come substrato per la replicazione del virus. Il suo preparato riscosse un certo seguito. Sebbene negli Usa fu surclassato da quello di Salk, in altri Paesi fu preferito a quest’ultimo. «Chi possiede il brevetto? La gente, suppongo. Non c’è brevetto. Si può brevettare il sole?» Jonas Salk accompagnò la risposta con un leggero sorriso, lasciando sbalorditi centinaia di giornalisti americani. Era il 12 aprile 1955 e il professor Salk, virologo statunitense, aveva avuto conferma che il suo vaccino contro la poliomielite era sicuro ed efficace. Otto anni di studi, decine di migliaia di medici e di volontari coinvolti, un gigantesco esperimento al quale parteciparono quasi 2 milioni di bambini in tutti gli Stati Uniti nel tentativo di debellare quello che, all’epoca, era considerato il più grande problema di salute pubblica. Davanti ai taccuini, Salk presentò la realizzazione di un sogno e annunciò che, non brevettando il vaccino, avrebbe rinunciato – calcolarono i giornalisti – a 7 miliardi di dollari.
La corsa al vaccino contro la polio, tuttavia, fu costellata anche da incidenti e controversie, reali o presunte tali. Il vaccino di Koprowsky, ad esempio, è stato oggetto di una grave controversia, che si è rilevata, tuttavia, infondata. Si diffuse, infatti, quella che oggi potremmo definire una fake news, secondo la quale una partita di vaccino di Koprowsky, distribuita nel Congo Belga, sarebbe stata contaminata dal virus degli scimpanzé ritenuto progenitore dell’HIV umano, favorendo con ciò lo spillover – termine tecnico che, oggi, è divenuto tristemente popolare a causa, ancora una volta, del Covid-19 – del virus dalla scimmia all’uomo.
I due vaccini hanno eliminato la poliomielite dalla maggior parte dei paesi del mondo e hanno ridotto l’incidenza a livello mondiale da circa 350.000 casi registrati nel 1988 a 1.652 nel 2007, sino al minimo storico di 234 casi nel 2020.
Il vaccino contro la poliomielite contiene virus uccisi provenienti da 3 ceppi del virus della poliomielite. La sua azione è sostenuta da un sale di alluminio.
La vaccinazione contro la poliomielite è raccomandata:
- Ai bebé dall’età di 2 mesi.
- Ai bambini (tra i 15 e i 24 mesi poi tra i 4 e i 7 anni).
- Agli adolescenti (tra gli 11 e i 13 anni).
Dopo la vaccinazione di base (totale di 5 dosi), dei richiami regolari non sono più necessari a meno che non si viaggi nelle regioni endemiche.
In Italia il vaccino Salk (IPV) venne adottato nel 1957. Nel biennio 1959-1960 viene raccomandata la vaccinazione per persone da 0 a 20 anni quando la incidenza della poliomielite raggiunge il suo picco in Italia, con oltre 8.000 casi dichiarati. Il vaccino Sabin (OPV) sostituisce l’IPV nella primavera del 1964, nel momento in cui ebbe inizio una campagna di vaccinazione di massa alla popolazione dai 0 ai 20 anni. Nel 1964 i casi dichiarati di poliomielite in Italia furono circa 3.000. Nel 1965 l’incidenza dichiarata si limitava a 500 casi. Nel 1966 la vaccinazione antipolio diventa obbligatoria. L’ultimo caso autoctono è stato segnalato nel 1982, a cui seguirono due casi nel 1984 e 1988 importati rispettivamente dall’Iran e dall’India.