Le malattie cardiovascolari sono un gruppo di patologie cui fanno parte le malattie ischemiche del cuore – come l’infarto acuto del miocardio e l’angina pectoris – e le malattie cerebrovascolari, come l’ictus ischemico ed emorragico. Le malattie cardiovascolari rappresentano in Italia, cosi come in gran parte dei paesi occidentali, la principale causa di morbilità, invalidità e mortalità, nonché la principale fonte di spesa sanitaria.
Le condizioni cliniche che determinano un’aumentata suscettibilità a sviluppare eventi cardiovascolari maggiori (ictus cerebrale, infarto del miocardio o scompenso cardiaco) sono denominate fattori di rischio. La presenza dei fattori di rischio cosiddetti tradizionali (familiarità per malattie cardiovascolari, età avanzata, ipertensione arteriosa, dislipidemia, diabete mellito e fumo di sigaretta) è in grado di predire fino al 90% degli eventi cardiovascolari maggiori. Oltre questi ne sono stati riconosciuti altri cosiddetti non convenzionali tra cui l’obesità addominale, l’ipertrigliceridemia e i bassi valori di colesterolemia HDL che concorrono alla definizione di sindrome metabolica e consentono di delineare ulteriormente ii profilo di rischio cardiovascolare del singolo individuo. A questo si devono aggiungere la sedentarietà, lo stress e l’alimentazione non equilibrata, ovvero l’insieme di stili di vita non salutari che spesso caratterizzano le principali realtà urbane.
I numeri
L’analisi dei dati forniti dall’Istat ha rilevato che le malattie del sistema circolatorio causano 224.482 decessi, pari al 38,8% del totale. Una percentuale così alta è dovuta al processo di invecchiamento e alla scarsa natalità che hanno caratterizzato il nostro Paese negli ultimi anni.
Le patologie che maggiormente incidono sul tasso di mortalità sono la cardiopatia ischemica (33%) e le malattie cerebrovascolari (28%). Molte di queste morti da infarto e scompenso cardiaci, da aritmie e da ictus cerebrale si verificano prima dei 60 anni di età e, anche se il dato è indicativo ma secondario, nel 2017 i farmaci per il sistema cardiovascolare si sono confermati la categoria a maggior consumo, con una spesa di 3.548 milioni di euro (pari all’11,9% della spesa farmaceutica annua italiana).
Fortunatamente, emerge anche un altro dato: il tasso di mortalità per il solo infarto cardiaco acuto si è ridotto di un terzo in 12 anni (da circa 34.000 casi nel 2005 a 22.517 casi nel 2017) grazie al ruolo della prevenzione e ai trattamenti terapeutici che vengono utilizzati attualmente.
I fattori di rischio
Le malattie cardiovascolari riconoscono più fattori di rischio (età, sesso, pressione arteriosa, abitudine al fumo di sigaretta, diabete, colesterolemia) che aumentano la probabilità di insorgenza della malattia. Essi sono stati identificati ed è stata dimostrata la reversibilità del rischio, pertanto la malattia cardiovascolare è oggi prevenibile.
I fattori di rischio cardiovascolare si dividono in non modificabili e modificabili. Tra i primi si annoverano l’età – il rischio aumenta progressivamente con l’avanzare di essa – il sesso – gli uomini sono più a rischio delle donne, anche se per queste ultime il rischio aumenta sensibilmente dopo la menopausa – e la familiarità, specie per chi ha parenti che hanno registrato eventi cardiovascolari in età giovanile (meno di 55 anni negli uomini e di 65 nelle donne).
I fattori di rischio modificabili, attraverso cambiamenti dello stile di vita o mediante assunzioni di farmaci, sono il fumo, la pressione arteriosa, la colesterolemia totale, l’HDL-colesterolemia e il diabete. Il rischio che ogni persona ha di sviluppare la malattia cardiovascolare dipende dall’entità dei fattori di rischio; il rischio è continuo e aumenta con l’avanzare dell’età, pertanto non esiste un livello a cui il rischio è nullo. Tuttavia è possibile ridurlo o mantenerlo a livello favorevole abbassando il livello dei fattori modificabili attraverso uno stile di vita sano.
Campanelli d’allarme ed età
I primi segnali che possono indicare un rischio di malattia cardiovascolare sono la comparsa di una delle seguenti patologie:
- sovrappeso od obesità (Indice di Massa corporea >30 kg/m2);
- ipertensione arteriosa (≥140/90 mmHg o la necessità di assumere farmaci per raggiungere questo target);
- ipercolesterolemia e ipertrigliceridemia;
- diabete mellito (≥126 mg/dl o necessità di assumere farmaci antidiabetici).
Dai 35 ai 75 anni c’è una buona probabilità di sviluppare un fattore di rischio o una malattia cardiovascolare. In Umbria è presente una incidenza di malattie cardiovascolari lievemente al di sotto della media nazionale, ma non dobbiamo comunque sottovalutare il problema la cui incidenza è in aumento da decenni.
Il ruolo del fumo
Il fumo di sigaretta è la più importante causa prevenibile di morte prematura nei paesi occidentali. Negli USA rappresenta più di 440.000 morti annuali. I fumatori hanno un rischio maggiore di sviluppare diversi disturbi cronici, tra cui la malattia aterosclerotica, tumore e BPCO (BroncoPneumopatia Cronica Ostruttiva). L’aterosclerosi è un contributore principale all’elevato numero di morti per fumo e molti studi dimostrano che il fumo di sigaretta è la principale causa di malattia coronarica acuta. Infatti, seppur altri fattori di rischio modificabili come la dieta non sana, l’inattività fisica e il consumo nocivo di alcol svolgono un ruolo per l’aumentare della placca aterosclerotica, è di gran lunga il fumo il fattore di rischio comportamentale leader delle malattie cardiovascolari acute. Esso rappresenta il 14% delle morti per problemi cardiovascolari e tale rischio si riduce sostanzialmente entro due anni dalla cessazione del fumo. Inoltre rispetto ai non fumatori, i fumatori hanno un rischio 2-4 volte maggiore di malattie cardiache e di ictus.
Si stima che ogni giorno tra le 80.000 e le 100.000 persone inizino a fumare e il primo contatto con la sostanza, in Italia, avviene tra i 15 e i 17 anni, seppur il 7% degli intervistati abbia dichiarato di aver fumato la prima volta intorno agli 11 anni. Lo studio InterHeart ha preso poi atto della forte relazione tra rischio di infarto del miocardio e il numero di sigarette fumate. Infatti persone che fumano più di 40 sigarette al giorno hanno quasi dieci volte il rischio relativo di infarto miocardico rispetto ai non-fumatori, ma anche rispetto ai fumatori moderati.
L’azione del fumo
Tra i principali meccanismi eziopatogenetici del fumo vi è un aumentata richiesta di ossigeno del cuore, a cui si aggiunge una diminuzione del flusso sanguigno e della fornitura di ossigeno al cuore stesso.
Il maggiore carico di lavoro del miocardio è dovuto, in parte, all’aumento della frequenza cardiaca media e della pressione sanguigna nel corso di tutta la giornata. Inoltre, il fumo aumenta la contrattilità miocardica acuta e la rigidità delle grandi arterie periferiche, provocando un incremento netto del carico di lavoro cardiaco.
Oltre a ciò il trasporto di ossigeno risulta ridotto poiché il fumo di tabacco, contenendo monossido di carbonio, si lega all’emoglobina, formando carbossiemoglobina, un complesso con ridotta capacità di trasportare ossigeno. La risposta fisiologica compensativa è un aumento della eritropoiesi, che aumenta la viscosità del sangue e, di conseguenza, il rischio di trombosi. A questo si aggiunge il fatto che il fumo stimola il rilascio di catecolamine (adrenalina, noradrenalina), che provoca una diminuzione del flusso sanguigno coronarico mediante la costrizione delle arterie intorno al cuore.
Un ulteriore contributo è dato dall’effetto del tabacco nell’aumentare il livello generale di colesterolo nel sangue: di tratta del risultato di una reazione chimica che colpisce il modo in cui avviene il processo di metabolismo del colesterolo, provocando un’alterazione del rapporto LDL/HDL.
Pressione Arteriosa
L’ipertensione è uno dei principali fattori di rischio delle malattie cardiovascolari e, secondo i dati forniti dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), è all’origine di oltre 9 milioni di decessi l’anno. Il 90-95% dei casi d’ipertensione arteriosa (ipertensione essenziale) dipende infatti da una cattiva alimentazione, da sovrappeso e obesità, da scarsa attività fisica. L’abitudine al fumo può aggravare la condizione. I livelli di pressione predicono inoltre la mortalità totale, la speranza di vita e contribuiscono a predire anche cause di morte non cardiovascolari. Una riduzione di 10 mmHg in meno di pressione arteriosa sistolica o 5 mmHg in meno di pressione arteriosa diastolica permette la riduzione del rischio di ictus del 40%, quello dell’infarto e delle altre patologie coronariche del 20-25%; pertanto ridurre la media della pressione arteriosa nella popolazione permette di ridurre il rischio di sviluppare l’ictus, l’infarto del miocardio e altre patologie coronariche.
Quali devono essere i valori della Pressione Arteriosa?
Secondo la classificazione del 2018 dell’European Society of Cardiology/European Society of Hypertension:
- è considerata “ottimale” una pressione sistolica inferiore a 120 mmHg e una pressione diastolica inferiore a 80 mmHg;
- è considerata “normale” una pressione sistolica compresa fra 120 e 129 mmHg o una pressione diastolica compresa fra 80 e 84 mmHg;
- si parla di “ipertensione arteriosa” quando i valori della pressione sistolica superano i 140 mmHg o quelli della pressione diastolica i 90 mmHg.
In Italia si stima che almeno 15 milioni di persone abbiano una pressione arteriosa ≥160 mmHg o siano in trattamento antiipertensivo. Poiché l’aumento della pressione arteriosa normalmente non si percepisce se non quando si manifestano complicanze cliniche è consigliabile misurare la pressione arteriosa almeno una volta all’anno.
È importante infatti ricordare che il rischio di malattia cardiovascolare aumenta progressivamente all’aumentare della pressione arteriosa, in modo lineare e continuo: più alta è la pressione, maggiore è il rischio di ammalarsi. Diversi studi epidemiologici hanno dimostrato l’importanza della pressione arteriosa come fattore di rischio anche quando i livelli pressori sono solo moderatamente elevati ed è stato stimato che quasi un terzo delle morti per patologie coronariche attribuibili alla pressione arteriosa avvengono tra soggetti non considerati ipertesi.
È quindi fondamentale effettuare controlli in serie della pressione arteriosa e mettere in pratica tutte le misure necessarie per la riduzione della pressione.
Quali sono le misure da adottare per mantenere una PA normale?
Adottare uno stile di vita sano non solo contribuisce efficacemente a riportare i valori pressori nei limiti della norma, ma consente di mantenerli a livelli desiderabili nel corso della vita.
In particolar modo avere uno stile di vita sano significa:
- seguire regolarmente un’alimentazione varia e equilibrata;
- limitare il consumo di alcol;
- mantenere il peso forma, cioè l’indice di massa corporea compreso fra 18 e 24 kg/m2 (l’indice di massa corporea è un indicatore che considera insieme peso e altezza);
- svolgere un’attività fisica regolarmente (camminare almeno 30 minuti al giorno a passo svelto oppure andare in bicicletta o svolgere una attività sportiva per almeno 3-5 volte la settimana);
- smettere di fumare;
- ridurre lo stress.
In caso non si riescano a raggiungere i valori desiderati è fondamentale iniziare, in maniera precoce, il trattamento farmacologico, sotto stretto controllo medico.
Colesterolo
Il colesterolo e i trigliceridi costituiscono la maggior parte dei grassi contenuti nel nostro organismo.
Il colesterolo è prodotto dal fegato, viene introdotto dall’alimentazione ed è presente in tutte le cellule dell’organismo. Serve per la sintesi di alcuni ormoni, gioca un ruolo fondamentale nella produzione della vitamina D, è un costituente delle membrane cellulari e di vari tessuti ma, se presente in eccesso, può essere molto dannoso per l’organismo.
Il colesterolo è presente nei cibi ricchi di grassi animali, come carne, burro, salumi, formaggi, tuorlo dell’uovo, frattaglie. I cibi di origine vegetale (frutta, verdura, cereali) non contengono colesterolo.
Il valore del colesterolo totale è “desiderabile” quando non supera i 200 mg/dl, seppur debba essere più basso in presenza di altri fattori di rischio.
Come mantenere i valori di colesterolo e trigliceridi a livello favorevole?
L’ipercolesterolemia è legata a una alimentazione squilibrata, al fumo, alla sedentarietà, al sovrappeso, al diabete; più raramente è dovuta a un’alterazione genetica. Un’alimentazione sana può ridurre il colesterolo nel sangue fra il 5% e il 10%. Una riduzione del 10% della colesterolemia riduce la probabilità di morire di una malattia cardiovascolare del 20%. La principale causa dell’ipercolesterolemia è un’alimentazione troppo ricca di grassi saturi (ad esempio un’alimentazione ricca di carni rosse, formaggi, insaccati): i grassi saturi aumentano il livello di LDL-colesterolo e diminuiscono il livello di HDL-colesterolo (il cosiddetto colesterolo buono). I grassi polinsaturi (come quelli contenuti nel pesce e negli oli vegetali non tropicali) e monoinsaturi (componenti principali dell’olio d’oliva), in quantità limitata, hanno un effetto positivo perché tendono ad abbassare il livello di LDL-colesterolo.
Per questo è importante:
- limitare il consumo di grassi in generale;
- sostituire i grassi saturi (burro, formaggi, carne grassa, insaccati) con quelli polinsaturi (pesce, oli vegetali non tropicali) e monoinsaturi (olio di oliva);
- aumentare il consumo di frutta, verdura e legumi;
- limitare il consumo di dolci;
- limitare il consumo di alcol.
È inoltre opportuno svolgere regolare attività fisica, abolire il fumo, tenere sotto controllo la pressione arteriosa, e dimagrire se si è in sovrappeso.
Anche in questo caso, se non si raggiungono i valori desiderati con la dieta, è fondamentale iniziare la terapia farmacologica sotto controllo medico
Il ruolo del diabete mellito
Il diabete mellito è una malattia del metabolismo degli zuccheri. Nell’organismo gli alimenti assunti vengono in gran parte trasformati in glucosio. Perché il glucosio possa raggiungere le cellule dell’organismo è necessario l’ormone insulina, prodotto dal pancreas. Nei diabetici è presente una carenza di insulina o un’insufficiente risposta all’insulina. Perciò, il glucosio non viene assorbito a sufficienza dalle cellule e si accumula nel sangue. Ciò causa livelli di glicemia fortemente aumentati.
Questi valori elevati della glicemia sono responsabili dello sviluppo di lesioni delle arterie che sono alla base delle principali malattie cardiovascolari (infarto e scompenso cardiaco). Il rischio cardiovascolare del paziente diabetico tuttavia non si limita ai livelli di zuccheri nel sangue: è stato dimostrato infatti che spesso i pazienti con diabete presentano altri fattori come dislipidemia, ipertensione e obesità (la cosiddetta sindrome metabolica), che di fatto aumentano esponenzialmente il rischio di malattie cardiache. Pertanto, maggiore è il rischio e più accurato dev’essere il controllo di ogni fattore, con target mirati e controlli ambulatoriali pianificati.
Diagnosi
I criteri per la diagnosi di diabete sono:
- sintomi di diabete (poliuria, polidipsia, perdita di peso inspiegabile) associati a un valore di glicemia casuale, cioè indipendentemente dal momento della giornata, ≥ 200 mg/dl
oppure
- glicemia a digiuno ≥ 126 mg/dl. Il digiuno è definito come mancata assunzione di cibo da almeno 8 ore.
oppure
- glicemia ≥ 200 mg/dl durante una curva da carico (OGTT). Il test dovrebbe essere effettuato somministrando 75 g di glucosio.
Esistono, inoltre, situazioni cliniche in cui la glicemia non supera i livelli stabiliti per la definizione di diabete, ma che comunque non costituiscono una condizione di normalità. In questi casi si parla di Alterata Glicemia a Digiuno (IFG) quando i valori di glicemia a digiuno sono compresi tra 100 e 125 mg/dl e di Alterata Tolleranza al Glucosio (IGT) quando la glicemia, due ore dopo il carico di glucosio, è compresa tra 140 e 200 mg/dl. Si tratta di situazioni cosiddette di pre-diabete, che indicano un elevato rischio di sviluppare la malattia diabetica anche se non rappresentano una situazione di malattia. Spesso sono associati a sovrappeso, dislipidemia e/o ipertensione e si accompagnano a un maggior rischio di eventi cardiovascolari.
Quali sono i danni nei pazienti diabetici?
Il diabete danneggia i vasi di tutto l’organismo, provocando complicanze sia microvascolari, che espongono al rischio di insufficienza renale (fino alla dialisi), compromissione della vista (fino alla cecità) e amputazione degli arti inferiori, sia macrovascolari, in primo luogo infarti e ictus. Sono proprio gli eventi cardiovascolari la principale causa di mortalità tra le persone con diabete di tipo 2, in particolare tra i più anziani (il 70% dei decessi in questa fascia d’età è dovuto a un evento cardiovascolare).
Il rischio relativo di mortalità cardiovascolare nelle persone con diabete è nettamente superiore a quello della popolazione generale in entrambi i sessi. Le persone con diabete di tipo 2 presentano un rischio di infarto paragonabile a quello di chi ha avuto un pregresso infarto. Ma il diabete non è solo un fattore di rischio indipendente per malattia cardiovascolare aterosclerotica; si associa infatti anche a una maggiore incidenza di scompenso cardiaco, sia nelle donne (rischio aumentato di 5 volte) sia negli uomini (aumento di 2,4 volte).
Si può prevenire il diabete?
Il sovrappeso è un fattore di rischio importante per il diabete di tipo 2. Quattro persone su cinque con diabete di tipo 2 sono in sovrappeso. Un peso corporeo normale, una sufficiente attività fisica e un’alimentazione equilibrata sono fondamentali per ridurre il rischio di diabete di tipo 2.
È quindi fondamentale:
- la riduzione dei grassi saturi (<10% delle calorie totali e del colesterolo (<300 mg/die) limitando il consumo di alimenti di origine animale
- Preferire i grassi insaturi, specie i monoinsaturi.
- Aumentare il consumo di legumi, verdura, frutta e cereali non raffinati.
- Aumentare il consumo di pesce.
- Moderare il consumo di alcool.
- Moderare il consumo di sale.
Tuttavia, anche con uno stile di vita sano non c’è alcuna garanzia che non ci si ammalerà di diabete, in quanto anche l’ereditarietà gioca un ruolo importante nella comparsa del diabete di tipo 2.
Come ci si accorge del diabete?
Circa la metà di tutti i diabetici di tipo 2 non sanno di avere questa malattia. Per diagnosticarla è necessario misurare la glicemia. Per tale motivo è consigliabile misurare la glicemia ogni anno a partire dai 40 – 45 anni. In uno stadio avanzato possono anche comparire i seguenti sintomi: sete intensa, bisogno più frequente di urinare, acuità visiva variabile, offuscamento della vista, sensazione di insensibilità ai piedi, stanchezza, diminuzione dell’efficienza, perdita di peso inspiegabile pur avendo fame, infezioni più frequenti.
Le malattie cardiovascolari colpiscono solo gli uomini?
No, non è assolutamente vero. È importante ricordare che le malattie cardiovascolari si presentano nelle donne con un ritardo di almeno 10 anni rispetto agli uomini. Fino alla menopausa le donne sono aiutate dalla protezione ormonale ma, in seguito, vengono colpite addirittura più degli uomini da eventi cardiovascolari, che spesso sono più gravi, anche se si manifestano con un quadro clinico meno evidente.
Che ruolo svolge l’alimentazione nell’ambito della prevenzione cardiovascolare?
Per quanto riguarda l’alimentazione, un contributo sostanziale all’epidemia di obesità e malattie correlate (patologie cardiovascolari e respiratorie, tumori, disturbi o patologie metaboliche e gastroenterologiche) sia nei paesi occidentali sia in via di sviluppo è stato dato dall’incremento nei consumi, sia in età evolutiva che adulta, di alimenti ad alta densità energetica ma di basso valore nutrizionale (alimenti ricchi di grasso, soft drinks con dolcificanti calorici, prodotti da forno/snack, dolciumi).
È importante fare la prima colazione?
La letteratura conferma che il saltare la colazione rappresenta un fattore di rischio per l’adiposità e la salute cardiovascolare nei bambini e negli adolescenti. Inoltre gli studi suggeriscono un’associazione tra il saltare la colazione e aumento di peso, insulino-resistenza o diabete di tipo II.
Le bevande zuccherate fanno male?
Evidenze sempre più forti sostengono che l’elevato consumo di bevande zuccherate contribuisce all’aumento dell’apporto calorico e quindi del peso della popolazione. I bambini e le famiglie dovrebbero essere informati sulle caratteristiche nutrizionali scadenti delle bevande dolci in commercio e incoraggiati a evitare quelle ad alto contenuto calorico come quelle con dolcificanti; le scuole dovrebbero evitare di offrirle.
Il sale da cucina fa male?
Il cloruro di sodio (sale da cucina) rappresenta la principale fonte di sodio nell’alimentazione. L’evidenza scientifica disponibile sugli effetti negativi che il consumo eccessivo di sale ha sulla salute è indiscutibile, soprattutto riguardo al rischio di malattie cardio e cerebrovascolari. L’Oms raccomanda un consumo giornaliero di sale inferiore ai 5 grammi (circa 2 grammi di sodio).
Che ruolo svolgono i grassi alimentari?
I grassi non sono tutti uguali e il loro consumo non ha le stesse conseguenze. Per esempio i grassi insaturi hanno un ruolo protettivo verso le stesse patologie che i saturi facilitano. Gli acidi grassi trans, invece, sono presenti soprattutto nei grassi idrogenati, quindi negli alimenti che contengono margarine o in quelli fritti in oli/grassi semi-idrogenati; ma non solo. Anche la semplice esposizione termica eccessiva ne favorisce la mutazione cis/trans, come avviene ad esempio durante la frittura eccessiva e/o il superamento del punto di fumo. I grassi trans hanno dimostrato effetti negativi sui lipidi circolanti, pertanto sono considerati dannosi per la salute e si raccomanda di limitarne al massimo il consumo.
Una buona alimentazione può essere considerata un fattore di protezione cardiovascolare?
Assolutamente sì. Negli anni ‘50 Ancel Keys, uno studioso americano, ipotizzò che la Dieta Mediterranea potesse avere un ruolo protettivo sulle morti cardiovascolari e presentò questa ipotesi all’Organizzazione Mondiale della Sanità con uno studio su 7 Paesi dell’area del Mediterraneo, suscitando numerose critiche. La Dieta Mediterranea è caratterizzata dall’abbondanza di alimenti vegetali come pane, pasta, verdure, insalate, legumi, frutta e frutti secchi; olio di oliva come unica fonte di grassi, moderato consumo di pesce, carne bianca, latticini e uova, moderate quantità di carne rossa e un modesto consumo di vino ai pasti. Questa dieta ha un basso contenuto di acidi grassi saturi, è ricca in carboidrati e fibra, ha un alto contenuto di acidi grassi monoinsaturi derivanti dall’olio d’oliva, apporti ridotti di sodio, elevati di potassio e altri minerali, elevato contenuto in antiossidanti: vitamine C ed E, carotenoidi e polifenoli. Dal 2010 la Dieta Mediterranea è stata riconosciuta dall’UNESCO Patrimonio Culturale dell’Umanità ed è raccomandata dalle nuove linee guida proposte nel 2014 per valutazione pubblica dal National Institute for Health and Care Excellence del Regno Unito.
Ad Assisi è possibile effettuare visite per valutare il rischio cardiovascolare?
Presso la Medicina di Assisi, da pochi mesi è stato aperto l’ambulatorio di Medicina Interna che ha come prerogativa quello di prevenire e trattare patologie internistiche.
Nel nostro ambulatorio è possibile anche avere, in tempi rapidi, una valutazione globale del rischio di soffrire di un evento attinente cuore o sistema circolatorio. Il servizio è rivolto a tutti coloro che vogliono sottoporsi a uno screening e, in particolare, ai pazienti che hanno una malattia cardiovascolare nota o a chi, per vari fattori, è predisposto.
L’ambulatorio offre un percorso clinico-strumentale rapido e con approccio multidisciplinare. In base ai risultati ottenuti nel corso della visita e degli esami strumentali associati, il paziente verrà sottoposto a controlli ambulatoriali successivi, temporizzati sul grado di rischio individuato, o al ricovero ospedaliero e può contare sulla stretta sinergia con altri specialisti all’interno dell’ospedale (neurologi, psichiatri, nefrologi, cardiologi, dietisti) per permettere una valutazione completa.
È possibile effettuare la prenotazione tramite CUP con impegnativa del medico curante con dicitura “visita Medicina Interna” e l’ambulatorio è aperto il venerdì pomeriggio.
Dott. Manuel Monti
Specialista in Medicina Interna
Responsabile Medicina a ciclo breve
Ospedale di Assisi